Cina: il lusso occidentale di fronte alle trasformazioni digitali
In un momento in cui un terzo della spesa mondiale per il lusso è generata da clienti cinesi, la società di consulenza Mad ha esaminato il graduale adattamento delle case di moda occidentali ai codici digitali e culturali dell’ex Regno di Mezzo. Una "decodifica" della rivoluzione digitale cinese che fa riferimento all'ecosistema tecnologico che circonda i consumatori cinesi di prodotti di lusso, ma anche ai cambiamenti indotti dalla pratica del commercio online e alla trasformazione che ne consegue per i negozi fisici.

Uno dei grandi errori del lusso negli ultimi dieci anni è stato tardare nel valutare il posto fondamentale che il digitale occupa fra gli utenti cinesi di Internet (che ormai sono 800 milioni). Dai 18 ai 39 anni per il 70% di essi. Un nuovo errore oggi sarebbe ridurre tale questione ai cosiddetti BAT (Baidu, Alibaba, Tencent), equivalente cinese dei GAFA (ovvero le quattro maggiori compagnie di tecnologia al mondo-Google, Amazon, Facebook ed Apple) che catturano nel loro ecosistema metà delle start-up nazionali.
I consumatori cinesi non si accontentano dunque del WeChat di Tencent, sottolinea Mad, che ricorda la crescita di nuovi social network, come TikTok o la rete sociale RED e i suoi 300 milioni di utilizzatori. Il che permette di aggirare una certa concentrazione del mondo digitale cinese, che non è senza insidie per i retailers. Così, Walmart China è stato costretto a non accettare più pagamenti con Alipay, lo strumento di pagamento di Alibaba, dopo aver rafforzato la sua partnership con il suo concorrente JD.com.
Transazioni commerciali che nel 2021 dovrebbero essere effettuate per un quarto su Internet. Una crescita che andrà a beneficio dei marchi di lusso, di questi tempi più a loro agio con l’e-commerce, e che ora mettono nel mirino le città secondarie e terziarie del Paese. Player internazionali come Net-a-Porter e Farfetch devono confrontarsi con la boutique di lusso di JD.com, Toplife, recentemente rilevata da Farfetch, e con il Luxury Pavilion di Alibaba, senza dimenticare Secoo, Mei, e 5Lux.

Una concorrenza il cui grande vincitore indiscusso è per il momento l’m-commerce, alimentato dai consumatori di 26-35 anni d’età. Ma anche il commercio mobile sta subendo un'importante trasformazione, facendosi social. Questo si traduce per i marchi di lusso in vari mini programmi offerti sull’account WeChat, la creazione di vetrine su RED, e una presenza potenziata su Weibo e Douyin. Louis Vuitton, Gucci, Coach e Burberry si distinguono particolarmente in questo campo.
“La questione della governance e della cultura sarà sempre più rilevante se si considera che la Cina diventerà probabilmente il mercato più grande per un certo numero di marchi di lusso globali nei prossimi anni”, per Claire Cauchois, manager di MAD Strategy: “Questa considerazione solleva alcune sfide che qualsiasi organizzazione dovrà affrontare. Qual è il giusto livello di distribuzione degli sforzi in questo contesto? Adattare l'esperienza al gusto dei clienti cinesi e, di conseguenza, riconsiderare l'equilibrio di potere tra Occidente e Oriente? O integrare un team di esperti cinesi dell’universo digitale presso la propria sede occidentale?”.
Le domande sono molte e complesse, tanto da portare i marchi a passare dal multicanale e omnicanale al “no-canale”. Un modo di operare senza soluzione di continuità tra i numerosi punti di contatto che il mediatico fondatore di Alibaba, Jack Ma, aveva reso popolare con l’appellativo di “New Retail”, che secondo lui condurrà alla scomparsa della nozione di e-commerce. Ma se la localizzazione un tempo venne giudicata prioritaria rispetto all'esperienza, è quest'ultima che rimarrebbe una priorità per il 64% dei cinesi, secondo Mad. È quindi nella coerenza e nell'autenticità del discorso del marchio che il lusso potrà trovare un'eco nella volontà di differenziazione dei consumatori cinesi.

“In Cina, l'ecosistema e la cultura digitale forniscono gli ingredienti, ma questi restano in mano ai marchi di lusso, che possono così sfruttare appieno questa ricchezza di informazioni”, riassume Claire Cauchois, per la quale i marchi non potranno affrancarsi dal tenere in considerazione i resi rispediti al mittente dalla clientela cinese. Un fatto che alcune aziende hanno imparato al prezzo di polemiche evitabili.
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