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Centergross suona l'allarme: “Aziende a rischio fallimento. Intervenga lo Stato”

Pubblicato il
31 mar 2020

Il più importante polo italiano ed europeo della fast fashion, dopo lo stop forzato imposto alle aziende del settore moda per combattere l’emergenza sanitaria legata al Coronavirus, invoca a gran voce l’intervento del Governo italiano per avere risposte chiare sul prosieguo delle attività e sui sostegni al comparto. In un comunicato datato martedì 31 marzo, gli imprenditori del distretto - fondato nel 1977 alle porte di Bologna in un’area che oggi ha raggiunto l’estensione di 1 milione di metri quadrati - avanzano proposte per poter superare la crisi economica.

Alcune immagini delle aziende di Centergross tristemente chiuse - Centergross


“Il nostro centro ha garantito prosperità alle aziende e al territorio”, ricorda orgogliosamente Piero Scandellari, presidente di Centergross, “è stato un forte richiamo per i buyer internazionali, che per il 60% provengono da stati esteri (in particolare di Asia, Europa e Medio-Oriente), ha raggiunto un volume d’affari aggregato imponente da 5 miliardi di euro l’anno e assicurato lavoro direttamente ad oltre 6.000 persone, e ad altrettante in modo indiretto. Ora questa eccellenza del Made in Italy rischia di crollare e dobbiamo fare tutto il possibile per salvarla”, afferma il presidente Scandellari. “Giunti alla seconda settimana di chiusura forzata dall’esplosione dell’emergenza Coronavirus, dopo i due decreti dell’11 e del 22 marzo che hanno imposto rispettivamente la chiusura dei negozi e lo stop alle attività produttive, adesso chiediamo al Governo di fornirci gli strumenti necessari per contrastare una crisi che rischia di raggiungere dimensioni irreparabili”, tuona perentorio.
 
Diversi imprenditori del distretto, che comprende oltre 400 aziende fashion (sia grandi e ben strutturate, che piccole o medie), tra le quali figurano marchi importanti come Imperial, Rinascimento, Gruppo Kaos, Kontatto, Vicolo, Souvenir, Susy Mix, Successori Bernagozzi, Tiemme Export e Ovyé, hanno chiesto allo Stato italiano di dettare una linea chiara per scongiurare il fallimento alle porte di tante imprese e hanno lanciato proposte concrete, come liquidità immediata e proroghe su pagamenti e tasse da versare.

Emma Tadei, direttore generale di Rinascimento, brand parte del Gruppo Teddy (2.892 dipendenti per un fatturato consolidato di 644 milioni di euro nel 2019), la realtà di maggiori dimensioni del distretto felsineo, sostiene la necessità di “iniziare un percorso con le associazioni di categoria e con chi siederà al tavolo per decidere il prossimo decreto di aprile “Salva Italia”. Così come è importante continuare ad avere un rapporto diretto con il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, con cui già Centergross dialoga da tempo, visto che molti temi sul commercio saranno di competenza regionale”.
 
Gianluca Santolini, titolare di Susy Mix, realtà con 50 dipendenti e 32 milioni di fatturato nell’ultimo esercizio, è deciso nell’affermare che “sia necessario affidarsi, ora più che mai, agli strumenti che la tecnologia ci offre, l’e-commerce innanzi tutto, e pertanto chiediamo che lo Stato metta a disposizione finanziamenti agevolati e bonus fiscali per investimenti sul digitale. Questo permetterà alle imprese di recuperare in futuro il terreno che stanno perdendo oggi”.
 
“Necessitiamo di finanziamenti per l’intera filiera produttiva”, chiarisce Marco Calzolari, titolare del Gruppo Kaos (50 milioni di euro di fatturato e 91 dipendenti), “da erogare alle aziende e ai nostri clienti, i commercianti, che versano nella nostra stessa situazione. Produciamo beni che hanno una deperibilità pari a quella del settore food, perché sono stagionali, vivono del momento. Lo Stato dovrà sostenere il vero Made in Italy, perchè ancora oggi l’artigianalità italiana ha un valore inestimabile, sul quale nessuno può competere. E lo Stato deve premiare le aziende italiane”.
 
“Per ripartire bisogna avere chiare linee guida da seguire”, è infine il pensiero di Federico Ballandi, titolare di Kontatto, azienda con 60 dipendenti e un fatturato di 24 milioni di euro nel 2019. “Una soluzione potrebbe essere l’eliminazione dell’IVA e dei contributi da versare allo Stato, mentre le aziende, a loro volta, potrebbero effettuare degli sconti sui capi. L’importante è far ripartire la filiera e snellire i costi che possono appesantire il sistema economico. Per il Made in Italy nel mondo, la moda è un valore aggiunto che l’Italia non può perdere”.
 

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