15 lug 2018
Botto Giuseppe: produzione tracciabile anche nel cashmere
15 lug 2018
Si chiama Natural Born Cashmere il tessuto sostenibile e tracciabile, proveniente da aziende selezionate in tutto il mondo e mulesing free, ultimo nato della collezione “Naturalis Fibra” di Botto Giuseppe. Il prodotto si presenta nei colori del vello naturale, senza nessun tipo di intervento umano nel processo di tintura.
“È più difficile identificare una fattoria specializzata nel cashmere perché i fattori sono piccoli, tantissimi e sparsi sul territorio, per cui solo messi insieme fanno grandi quantità”, spiega a FashionNetwork Silvio Botto Poala, co-CEO dell’azienda tessile insieme al fratello Ferdinando. “Invece nelle lane ci sono ormai famiglie che da 3-4 generazioni hanno investito nelle pecore e oggi hanno fino a 50.000 capi nella stessa fattoria”.
“Abbiamo concluso un accordo con la fattoria Gacha, della regione dell’Alashan, nel Tibet della Cina, che alleva la capra del cashmere con il vello più fine, compreso tra i 13 e i 15 micron (temprato dalla resistenza di questi animali alle condizioni atmosferiche inospitali di quell’area), per iniziare una produzione tracciabile anche sul cashmere, senza più dover comprare da tanti piccoli produttori diversi”, rivela il CEO. “Nella lana abbiamo 3 fattorie con cui lavoriamo su prodotti differenti e, già con la precedente collezione estiva, abbiamo una seta tracciabile”.
I filati che appartengono a “Naturalis Fibra”, che provengono da fattorie selezionate in Asia e Oceania, sono per la maggior parte lavorati nello stabilimento “Cascami e Seta” di Tarcento in provincia di Udine, di proprietà della famiglia dal 1985.
“La sostenibilità è il pensiero che si traduce in uno sforzo profuso in tutti passaggi della filiera per ottenere risultati eccellenti in termini di livello della produzione, gestione di acque e coloranti utilizzati e capacità di gestire la qualità del lavoro delle persone”, aggiunge Silvio Botto Poala, “ed essa può e deve trasformarsi in un’arma per il tessile italiano. La sostenibilità va a braccetto col lusso, che può considerarla come una difesa contro la fast fashion, la quale cerca di ammantarsi di un’attenzione all’ambiente che in molti casi non si sa quanto sia certificata o veritiera. Anche i nostri clienti d’alta gamma devono trovare il modo di comunicare questo valore aggiunto ai loro consumatori con linguaggi più semplici e diretti, e intanto all’interno della propria azienda creare degli uffici che controllino i processi, come fa il gruppo Kering”.
Sostenibilità che non va confusa con le pratiche (pur meritorie, in quanto consentono di diminuire la produzione) di riciclo o riuso dei prodotti di scarto (come le scarpe sportive realizzate partendo dalla plastica ripescata negli oceani). “I prodotti riciclati seducono i clienti perché solitamente costano molto meno di quelli fabbricati secondo criteri improntati a una vera sostenibilità", ricorda ulteriormente il dirigente piemontese. "Anche il cashmere riciclato fa costare il prodotto finale il 30-40% in meno. Insomma, chi vuole la sosteniblità la deve pagare. Il tutto senza dimenticare la longevità del prodotto: il capo sostenibile dura nel tempo”.
Il 2017 di Botto Giuseppe è terminato con un fatturato di 59,9 milioni di euro. “La previsione per il 2018 è di concludere l’anno a 63-64 milioni di euro”, conclude Silvio Botto Poala. “Il livello di export è stato del 65%, con l’Italia come primo mercato (ovviamente con il 35%), seguita da Stati Uniti (10%), Cina, Corea del Sud e Francia nell’ordine. La Cina ha fatto la migliore performance nell’ultimo anno (e triennio), crescendo di oltre il 10%, subito seguita dalla Corea del Sud. Diciamo che i mercati che hanno più sofferto nelle cifre di Botto Giuseppe sono stati la Germania e la Spagna”.
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