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Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
30 set 2020
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Boohoo: primo semestre stimolato dalla crescita dell'e-commerce

Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
30 set 2020

Ultimamente, abbiamo sentito parlare molto del gruppo Boohoo, che tra giugno e luglio scorsi ha dovuto subire le conseguenze di uno scandalo di cui si è parlato tantissimo nel Regno Unito e non solo, che aveva fatto precipitare il valore del suo titolo in Borsa. Il Sunday Times aveva rivelato in un reportage che in almeno un suo laboratorio terzista a Leicester si operava in barba al lockdown e alle misure di distanziamento sociale e che i dipendenti erano costretti a lavorare anche se risultati positivi al Covid-19 a salari di poco più di 3 sterline l’ora. Pratiche diffuse, a quanto dimostrato in seguito dalla stampa inglese, in molti laboratori della città manifatturiera inglese che lavorano per aziende alimentari e d’abbigliamento. Intanto, mercoledì l’impresa britannica ha annunciato i suoi ultimi risultati del semestre conclusosi il 31 agosto scorso.

PrettyLittleThing


Alla lettura del bilancio, l'azienda sembra in ottima salute, nonostante la pandemia e tutte le sue conseguenze. In un certo senso, le cifre che vedremo rappresentano un po’ una sorpresa, e diventano impressionanti specialmente se le confrontiamo con quelle della concorrenza. L'azienda ha visto aumentare del 45% il fatturato nel semestre, a 816,5 milioni di sterline (895,4 milioni di euro).
 
L’utile lordo è salito del 47% a 449,2 milioni di sterline (492,6 milioni di euro), e Boohoo è riuscita persino ad aumentare il margine, passato dal 54,3% al 55%. L’EBITDA è salito del 48%, a 89,8 milioni di sterline (98,5 milioni di euro) e il profitto ante imposte è aumentato del 51%, a 68,1 milioni di sterline (74,7 milioni di euro).

I ricavi di Boohoo crescono in tutti i mercati: nel Regno Unito salgono del 37%, sui mercati esteri del 55%, negli USA dell’83%. Le vendite extra UK rappresentano ormai il 47% del totale di gruppo, contro il 44% di un anno fa.
 
Cresce anche il numero dei nuovi clienti (+34%), soprattutto nel primo trimestre dell’esercizio, a causa dell'impatto della crisi sanitaria sul comportamento dei consumatori.
 
L'azienda può vantare un bilancio solido, con un flusso di cassa netto di 344,9 milioni di sterline (378,3 milioni di euro), dopo un collocamento azionario di quasi 200 milioni di sterline e un cash flow operativo di 147,2 milioni di sterline (161,5 milioni di euro). Il che gli ha permesso di superare la pandemia senza dover partecipare a nessun programma di sostegno finanziario da parte del governo britannico. 
 
Boohoo specifica che le tre società acquisite durante l'anno fiscale precedente (Miss Pap, Karen Millen e Coast) “si stanno sviluppando bene, con solide basi che ci permettono di prevedere un futuro radioso”. Inoltre, la pandemia ha permesso al gruppo di acquistare Oasis e Warehouse, marchi falliti all'inizio del lockdown a causa della chiusura dei loro negozi, i quali hanno lanciato nuovi siti web alla fine di luglio. Boohoo s’è detto “entusiasta del potenziale di questi nuovi brand, in quanto completano la [sua] piattaforma multimarca”.
 
Il retailer online britannico non ha precisato i risultati dei suoi tre brand (Boohoo, PrettyLittleThing e Nasty Gal), ma le cifre indicate sopra suggeriscono che la loro performance sia stata a dir poco soddisfacente.
 
Boohoo prevede ora una crescita annua compresa tra il 28% e il 32%, oltre le precedenti previsioni, che prevedevano un +25%. Il gruppo ha inoltre indicato di aver iniziato bene il secondo semestre dell’esercizio, che si concluderà a fine febbraio 2021, ma anticipa che si troverà ad affrontare “un periodo di incertezza economica, che potrebbe portare ad una possibile riduzione delle spese dei consumatori”.
 
Tornando a quanto accaduto all’inizio della scorsa estate, Boohoo si era trovato a difendere le sue pratiche relative alla supply chain dopo le polemiche innescate dall’associazione Labour Behind the Label, impegnata nella difesa dei diritti dei lavoratori, che in un rapporto aveva indicato di aver ricevuto segnalazioni di “lavoratori costretti a lavorare anche se malati di Covid-19, altri che desideravano mettersi in quarantena a cui veniva negata la paga, fabbriche che continuavano illegalmente ad operare durante il lockdown” a Leicester.
 
Pochi giorni dopo, il quotidiano Sunday Times ha pubblicato un articolo in cui ricostruiva che un fornitore “non dichiarato” di Boohoo stava “producendo capi di abbigliamento per il dettagliante di moda, e che avrebbe pagato il personale a partire da 3,50 sterline l'ora, violando nel contempo le regole di distanziamento sociale”. Un reporter sotto copertura del Sunday Times ha infatti girato un video segreto di sé stesso mentre preparava i vestiti per l'etichetta Nasty Gal di Boohoo in un'azienda che si faceva chiamare Jaswal Fashions. Mentre era lì, veniva pagato 3,50 sterline l'ora, ben al di sotto del salario minimo di 8,72 sterline per i lavoratori dai 25 anni in su. Secondo quanto riferito dal quotidiano inglese, Boohoo rappresenta oggi circa i tre quarti della produzione totale di abbigliamento a Leicester.
 
L’azienda di fast fashion ha dunque dimostrato una certa confusione nel gestire la propria catena di approvvigionamento, tanto da non sapere esattamente quali aziende realizzavano i suoi prodotti. È emerso persino che l’azienda che occupava i locali non era più la Jaswal Fashion, non più operante come produttore di abbigliamento. Ciò significava che “un'altra società sta utilizzando i precedenti locali di Jaswal e attualmente stiamo cercando di stabilire l'identità di questa azienda”, ha indicato Boohoo in un comunicato di quei giorni.

Boohoo


Boohoo ha ringraziato il Sunday Times per la scoperta, assicurando che avrebbe indagato con urgenza e che chiuderà i rapporti con qualsiasi fornitore che abbia violato il suo codice di condotta, intensificando i controlli. Le polemiche hanno infuriato per alcune settimane, in quanto la vicenda aveva scoperchiato l’intensa pressione alla quale sono sottoposte le fabbriche nell'area di Leicester per consegnare gli ordini in tempo per una moda sempre più veloce da produrre a bassissimo prezzo, il che aveva portato i subfornitori terzisti locali all’adozione di pratiche non sicure, con un distanziamento sociale inadeguato che avrebbe contribuito all'aumento dei casi di coronavirus in città.
 
Boohoo aveva risposto definendosi “scioccato” per l’accaduto e pur riconoscendo che era necessario fare chiarezza e che avrebbe realizzato un’inchiesta su tutta la sua catena di fornitura, aveva puntualizzato quelle che identificava come inesattezze nel rapporto del Sunday Times, spiegando che “gli indumenti presentati non erano effettivamente prodotti a Leicester, ma in Marocco. Dopo la produzione, i vestiti sono stati spediti nel Regno Unito dal fornitore per essere riconfezionati in scatole conformi per la consegna al centro di distribuzione internazionale del gruppo a Burnley. Questo è stato il processo che è stato filmato in una sede precedentemente gestita da Jaswal Fashions Limited”, aggiungendo che “contrariamente a quanto riportato dai media, [Jaswal] non è e non è mai stato un fornitore per il gruppo e non opera nell'unità dichiarata. Le indagini delle ultime 72 ore hanno evidenziato che l'ordine da Nasty Gal è stato effettuato con Revolution Clothing Co Limited, che ha poi incaricato Morefray Limited di produrre in Marocco e riconfezionare gli indumenti per loro conto a Leicester”.
 
Dopo un iniziale crollo del titolo azionario di Boohoo e la scelta di molti importanti e-commerce multimarca, come Zalando, Asos e Next, di ritirare i prodotti dei marchi del gruppo dai loro scaffali virtuali, nonché di alcuni investitori istituzionali di disfarsi delle azioni Boohoo in loro possesso, la situazione del retailer online ha cominciato a riassestarsi, anche grazie all’acquisto da parte dei suoi fondatori di azioni del gruppo per un valore di 15 milioni di sterline (Mahmud Kamani 10,7 milioni di sterline e Carol Kane 4,3, ndr.), fino al riscontro degli splendidi dati economici di questo primo semestre 2020.
 
Nei giorni scorsi, Boohoo ha reso noti i risultati della propria inchiesta, ripresi dall’agenzia di stampa AFP. Nei risultati della sua indagine, l'avvocato Alison Levitt afferma di non aver trovato prove che il gruppo specializzato nella fast fashion a buon mercato principalmente rivolta ai giovani abbia commesso alcun crimine, ma che è da criticare per aver chiuso un occhio sulle pratiche dei suoi fornitori.
 
Il rapporto conferma che i dipendenti dei laboratori di abbigliamento a Leceister che riforniscono Boohoo lavoravano in cattive condizioni per uno stipendio irrisorio. È importante sottolineare che “almeno dal dicembre 2019, gli alti funzionari di Boohoo hanno saputo che c'erano seri problemi riguardanti il ​​trattamento dei lavoratori nelle fabbriche di Leicester”, secondo la signora Levitt, per la quale Boohoo “ha pensato di sostenere le fabbriche di Leicester non annullando gli ordini, ma non si è preso la responsabilità delle conseguenze per chi ha realizzato i vestiti”. Infine, il rapporto non risparmia le autorità, che non hanno applicato la legge sulle condizioni di lavoro.
 
I provvedimenti immediatamente presi dal CEO John Lyttle – criteri di selezione più severi per i propri fornitori, rafforzamento delle misure di controllo, diversificazione del consiglio di amministrazione – hanno anch’essi rassicurato i mercati azionari, che in questi mesi hanno fatto risalire il valore del titolo di Boohoo.

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