1 mag 2023
All’e-P Summit le particolarità delle start-up del Fashion Tech
1 mag 2023
Tra le novità dell’ultima edizione dell’e-P Summit, l’incontro tra moda e aziende Digital promosso da Pitti Immagine e conclusosi qualche giorno fa in Stazione Leopolda a Firenze, c’era l’Innovation Call For Fashion Tech Startup, iniziativa realizzata in collaborazione con Fashion Technology Accelerator (FTA), programma internazionale che sostiene lo sviluppo delle startup del segmento Fashion Tech.
L’iniziativa ha offerto a quattro start-up selezionate dal comitato scientifico di e-P Summit l'opportunità di presentare le proprie soluzioni innovative che uniscono fashion e tecnologia al pubblico di manager e professionisti del settore moda presenti all’evento.

CDC Studio
La start-up toscana fondata a San Miniato Basso (PI) e guidata da Cristina Di Carlo ha brevettato una soluzione sostenibile per valorizzare il polietilene rigenerato e le eccedenze di tessuti, riducendo l'emissione di CO2 e ottenendo un profitto dagli scarti. “Brand o produttori di tessuti e pellami possono nobilitare il loro invenduto o difettato attraverso COEO, tecnologia da noi brevettata che utilizza polietilene rigenerato. La materia prima è un sacchetto della spazzatura, quello dell’indifferenziato, o una plastica da imballaggi e viene fornita dal gruppo Hera”, ha spiegato la stessa Cristina Di Carlo a FashionNetwork.com. “Con Hera abbiamo una partnership che ci garantisce che la plastica fornitaci provenga da una raccolta regolamentata e sia veramente riciclata”.
Il processo di CDC Studio va a mascherare il difetto presente sul capo di base o a nobilitarlo cambiandogli la foggia. “Con la nostra tecnologia il capo diventa impermeabile, antivento e soprattutto durevole. Quindi, può essere usato anche per i capispalla, perché resiste nel tempo come un materiale plastico”, sostiene Di Carlo, per la quale il materiale ricavato dal procedimento COEO è utilizzabile anche nell’arredamento, non solo nella pelletteria, nell’abbigliamento o negli accessori.
“Vogliamo inserire nel processo di riciclo di COEO anche tutti i cascami di pelle o gli sfridi di tessuto scartati durante la produzione. Il monofibra non c’interessa, puntiamo sul polifibra e vogliamo far diventare il prodotto ottenuto durevole. Siamo ambiziosi e puntiamo al ‘Fine vita mai’ per un qualsiasi capo. Non è vero che non si può fare, è che non si vuole fare”, afferma Di Carlo. “Abbiamo allo studio la possibilità di inserire nel circuito di riciclo di CDC Studio anche tutti gli altri materiali, non solo il polietilene, ma è un progetto che probabilmente completeremo a fine 2024”, anticipa Cristina Di Carlo, orgogliosa del fatto che il suo quartier generale si trovi strategicamente in mezzo tra i due principali distretti industriali toscani per la moda e il lusso, quello conciario (a 5 chilometri dalla sede di CDC Studio) e quello tessile (a 30 chilometri). “In questi giorni ci stiamo aprendo al settore dell’arredamento”, conclude.

Fairly Made
La piattaforma francese SaaS (Software as a Service) di Fairly Made dal 2018 (anno in cui è stata fondata da Laura Betsch e Camille Le Gal) accompagna le aziende in un percorso più virtuoso e meno inquinante per il pianeta per fare in modo che migliorino il loro sourcing. Oggi comunica il suo arrivo in Italia. Lo ha confermato a FashionNetwork.com Agathe Roussel, Head of Development di Fairly Made.
“Siamo una start-up della green tech che permette ai marchi di essere in pari con la compliance richiesta dalle nuove regolamentazioni. Per esempio la legge AGEC, già attiva in Francia, le prossime normative in fase di studio a livello di istituzioni europee che dovrebbero prevedere un sistema di punteggi, un vero score di valutazione, o le norme americane, che cambiano spesso”, spiega infatti Agathe Roussel. “Il nostro obiettivo è dunque proporre alle aziende partner una metodologia per l’applicazione della trasparenza sulla tracciabilità. Lo facciamo attraverso tre moduli d’azione: il primo è appunto la tracciabilità dei prodotti lungo tutta la filiera; il secondo è l’impatto delle analisi sul ciclo di vita dei prodotti, la famosa LCA (Life Cycle Assessment); il terzo è legato alla comunicazione: dei QR Code posti sui prodotti riferiscono tutte le informazioni sul loro percorso”.
“Dopo il round di finanziamento del giugno 2022 in cui abbiamo raccolto 5 milioni di euro da ETF Partners e da Le fonds by French Founders, la nostra priorità è stata internazionalizzarci, partendo dall’Italia, secondo Paese dell’abbigliamento al mondo… dopo la Francia… (ride) nell’intento di diventare i leader in Europa nel nostro segmento”, prosegue Roussel. “Perciò sarò in Italia per un mese a maggio per incontrare nuovi potenziali partner, candidati per lavorare alla nostra entità italiana e marchi con i quali collaborare sulla piattaforma. Quest’anno obiettivo Italia ed Europa, ma dal 2024 Stati Uniti”, afferma.
Insediata a La Caserne, l’hub parigino di moda responsabile nel X arrondissement, Fairly Made ha una sessantina di clienti in Francia che vanno dal lusso alla fast fashion (tra i quali gruppi come LVMH o SMCP, o marchi come ba&sh, Aubade, Volcom, The Kooples, Vanessa Bruno e Rossignol). “In sostanza, consentendo all'industria tessile e ai marchi della moda di misurare l'impatto ambientale e sociale dei loro prodotti, occupandosi della tracciabilità nella catena del valore, della trasparenza nelle pratiche di acquisto e del rapporto di fiducia con i fornitori, la nostra azienda aiuta i brand ad uscire da tattiche ecologiche vaghe o tendenti al greenwashing, al fine di trovare soluzioni alternative più virtuose per migliorare le proprie filiere produttive”, conclude Agathe Roussel.

Must Had
Start-up Innovativa Benefit nata a Torino nel 2021, Must Had è stata fondata da Arianna Luparia, Matteo Aghemo ed Eugenio Riganti. “Ci siamo incontrati a gennaio 2020”, racconta quest’ultimo a FashionNetwork.com. “Matteo viene dal mondo dei tessuti (ha commercializzato per 5 anni tessuti tecnici in un’azienda tessile in Vietnam per clienti come Nike o Adidas), diventando ben presto consapevole della sovrapproduzione che caratterizza il mondo della moda. Io invece venivo da una società di consulenza nel marketing e retail, anche per aziende del lusso, mentre Arianna, la creativa del progetto, arriva proprio dal mondo fashion – si è occupata di prodotto per brand come Rick Owens o Dolce & Gabbana. Ispirandoci al papà di Arianna”, continua Riganti, “che recuperava vecchi maglioni di cashmere e li ridipingeva, due anni fa abbiamo pensato anche noi di creare sulla nostra piattaforma una community di persone che trasformassero capi d’abbigliamento gettati”.
In seguito, Must Had ha cominciato ad essere contattato da varie aziende con magazzini pieni di rimanenze, soprattutto di materiale pre-consumo, che quando rimane fermo in magazzino raggiunge uno stadio in cui non ha più un valore e allora, nei casi limite, viene smaltito (o alcune volte bruciato, come fanno le aziende del lusso per evitare che ritorni in circolo svenduto e così si perda l’aura di esclusività dei loro prodotti, ndr.). “In seguito abbiamo allargato le nostre competenze non solo all’upcycling e al mondo dei piccoli laboratori specializzati e dell’artigianato, ma all’universo del riciclo e del riuso”, prosegue Eugenio Riganti, “con aziende che sono in grado di prendere grossi quantitativi di materiale, e quindi dare alternative all’odierno smaltimento lineare dei brand”.
Must Had ha collaborato così con il gruppo giapponese Uniqlo per una co-lab su tre livelli, partita rifacendo con materiali riciclati, grazie al lavoro di una cooperativa sociale, le tende dei camerini dei negozi di Milano e Copenhagen. “In seguito ci hanno fornito materiale invenduto che hanno selezionato dal loro magazzino, specialmente resi dall’e-commerce, col quale abbiamo confezionato dei capi che sono in vendita nello store di Milano”, spiega Riganti. Ora la partnership prevede il riciclo di interi pallet di capi invenduti da cui Must Had ricava tappetini e imbottiture per l’automotive, per esempio per i cruscotti, o pannelli fonoassorbenti.
Sette dipendenti, Must Had ha una rete di oltre 100 realtà con cui collabora, in Italia ed Europa. Sono 5 invece le collaborazioni attive con brand, che non sono solo di moda. “A un marchio di caffè, per esempio, abbiamo disegnato i grembiuli recuperando i loro sacchi di iuta. Oppure abbiamo collaborato con Europcar, l’azienda francese di noleggio auto, le cui divise dismesse dai dipendenti sono state recuperate e fornite a un designer danese che ne ha fatto delle calzature, acquistabili dagli stessi dipendenti a una cifra modica. Punteremo a partecipare a nuove fiere prossimamente, come Ecomondo, o magari Milano Unica”, conclude Eugenio Riganti.

Renoon
Altra piattaforma SaaS che si occupa di trasparenza di filiera è l’italo-olandese Renoon, fondata da Iris Skrami e Piero Puttini, la quale aiuta brand e retailer a comunicare correttamente e a eliminare il rischio di greenwashing attraverso la verifica dei claim a livello di azienda, prodotto e supply chain. “All’e-P Summit abbiamo presentato, in collaborazione con la società francese che si occupa di trasformazione digitale Sopra Steria, una sorta di ‘e-commerce of the future’ integrato da varie soluzioni interne per rispondere ad esigenze normative di consumer engagement”, racconta a FashionNetwork.com Iris Skrami.
“Aiutiamo le aziende ad aggregare, analizzare e comunicare informazioni di prodotto sulla tracciabilità e la responsabilità sociale”, aggiunge Piero Puttini. “L’intento è anche comunicarle al consumatore, rendendole disponibili sotto forma di QR Code attaccati alle etichette dei prodotti e sull’e-commerce dei brand tramite un widget integrato”.
“Ci sono delle evidenze, in base alle quali il marchio aggiunge una dichiarazione sulla nostra piattaforma, ovvero se è organico, se pratica lavoro etico, se il packaging è ecologico, se supporta la transizione climatica e così via. Renoon si preoccupa di indicare se quel valore comunicato da un’azienda sia verificato o solo dichiarato”, puntualizza Puttini. “Il problema di molti brand è che la raccolta di tali dati è dispersiva. Noi li aiutiamo ad organizzarglieli step by step”.
Sette dipendenti, sedi a Milano ed Amsterdam, anche Renoon contribuisce dunque a smascherare il continuo rischio odierno del consumatore di pensare di aver acquistato un capo estremamente ecologico ed invece ritrovarsi ad aver subito un’operazione di greenwashing di facciata. In un tempo in cui, al contrario, molti brand realmente eco-responsabili sono titubanti sul comunicare i loro raggiungimenti autenticamente green (il cosiddetto hushwashing) nel timore di essere infilati loro malgrado, causa pregiudizi, nel calderone del greenwashing. “Ma si pensi che oggi c’è addirittura il fenomeno del greenbashing, in cui la funzionalità viene trascurata”, ricorda poi Iris Skrami. “Ovvero cercare talmente tanto di essere green da creare un prodotto o un accessorio in maniera davvero ecologica, ma averlo costruito così male che non dura niente, si rompe presto o non è funzionale”.
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