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25 ott 2013
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Alex Vanneste: "I nostri brand dovranno sedurre i cinesi coi loro materiali"

Pubblicato il
25 ott 2013

L'amore dei cinesi per i marchi occidentali ha spinto numerose aziende a penetrare nel Regno di Mezzo. Tuttavia, nel momento in cui una nuova generazione di consumatori si allontana dai grandi nomi in favore di una ricerca di stile, questi brand dovranno ampliare i loro codici ed espandere il ventaglio delle proposte, soprattutto per sottolineare la qualità dei loro materiali. E' quanto fa osservare il belga Alex Vanneste, presidente della società Secrets of Linen Jos Vanneste, che attraversa l'Asia da più di 15 anni. Dopo aver assistito al cambiamento della Cina da Paese produttore a mercato di consumo, Vanneste intuisce e scorge le premesse di una simile transizione anche in altre nazioni dell'area.

La sfilata di Mountain Yan durante il salone Intertextile (Shanghai) - MG/FashionMag.com


FashionMag: Percepisce quell'avvenuta maturità dei consumatori cinesi per lungo tempo annunciata?
Alex Vanneste: Oggi, con tutte le informazioni che riceve, il consumatore cinese sta tornando progressivamente alla base: trovare materiali piacevoli e nobili. Per ora, i cinesi cercano sempre i marchi occidentali. E questi marchi vedono dunque logicamente la Cina come il loro futuro. Ma malgrado questo, i loro team percepiscono che presto dovranno sviluppare un discorso su quell'elemento di base che è la qualità delle materie prime. Questo darà loro un modo per ottenere un plusvalore d'immagine. L'associazione di marchio e materie prime, in ultima analisi, conquisterà il cuore dei cinesi come è stato nel caso dei giapponesi. I marchi occidentali dovranno affascinare e convincere sulla base dei materiali.

FM: L'evoluzione conosciuta dalla Cina in questi ultimi anni sarà portata a diminuire negli altri Paesi asiatici?
AV: Quando si parla del mercato asiatico, bisogna tenere in debita considerazione la specificità dell'India. Un indiano comprerà il suo tessuto, e in seguito farà confezionare la sua camicia al prezzo che avrebbe pagato da Massimo Dutti o Zara. Questo è uno dei pochi Paesi al mondo in cui le cose vanno ancora in questo modo. La Cina da parte sua ha assorbito i codici occidentali. E mi sembra che i consumatori cinesi avranno sempre bisogno di essere "guidati" così. I cinesi cominciano inoltre a oltrepassare alcuni precetti della tradizione, come l'indossare la giacca di lana o camicie bianche in poliestere, per esempio. Ma se la Cina è molto promettente, in realtà è lo stesso anche nelle nazioni vicine.

FM: I marchi hanno dunque tutto l'interesse a investire da adesso in questi altri Paesi?
AV: Oggi, stiamo sfruttando il Bangladesh, così come il Laos e la Cambogia, per la produzione di massa. Ma tutto può andare molto in fretta: per convincersene, è sufficiente guardare ai grandi cambiamenti evolutivi che hanno interessato la Cina in una quindicina d'anni solamente. Al momento sembra che i prossimi Paesi consumatori saranno gli "altri produttori", come l'Indonesia, sulla scia della Cina, o la Thailandia, che rimane molto influenzata dall'India. Senza dimenticare il Bangladesh, naturalmente, anche se il Paese resta per ora frenato dal suo rapporto con la religione.

FM: L'Asia sarà dunque interamente rivolta verso la propria domanda creando delle nuove zone produttrici?
AV: A lungo termine, è chiaro che il mercato dei nostri figli sarà l'Africa. Perché già adesso sul posto c'è il desiderio di sviluppare un'industria legata al nostro settore. Tuttavia, non ci sono i governi né le infrastrutture che possano permettere al continente di abbracciare il suo futuro. E, di nuovo, dopo aver sviluppato la sua produzione, diventerà un mercato di consumo. L'ultimissimo continente da esplorare per lo sfruttamento commerciale.

Matthieu Guinebault (Versione italiana di Gianluca Bolelli)

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