Adam Brown, fondatore di Orlebar Brown, sulla sua vita imprenditoriale con Chanel
Pochi marchi britannici hanno goduto di una crescita così esplosiva come Orlebar Brown, l'elegante brand di resortwear noto per i suoi brillanti costumi da bagno dalle immagini fotografiche.

Il fondatore dell'etichetta, Adam Brown, è un fashionista atipico, che ha lavorato in associazioni di beneficenza per bambini e persino nelle prigioni prima di trovare la sua collocazione nel settore dell'abbigliamento. Brown ha avuto l'idea per il suo marchio viaggiando, e notando quanto siano vestiti in modo noioso tanti uomini che altrimenti risultano ben vestiti quando si trovano nel loro tempo libero.
Il suo uso di tessuti tecnici e immagini incisive gli ha immediatamente fatto ottenere uno stuolo di fedeli seguaci, tanto che appena un decennio dopo aver fondato Orlebar Brown è stato in grado di vendere l’etichetta al grande gruppo francese Chanel, pur rimanendone direttore creativo.
Abbiamo incontrato Brown, imprenditore vivace dalla mentalità aperta, mentre si accingeva a partecipare alla serie di webcast di Vodafone “#ThatWhoDare” su come avviare con successo la propria attività.
FashionNetwork.com: Come è entrato nella moda?
Adam Brown: Beh, è stato un puro caso quando avevo 40 anni. Ho lavorato nel settore del volontariato, nelle carceri per l'HIV e nelle associazioni di beneficenza per bambini. Poi sono diventato un fotografo, avevo 40 anni appunto, ed ero un pessimo fotografo. Quindi stavo davvero cercando qualcosa da fare. Mi è venuta così l'idea per Orlebar Brown, brand che gravitava attorno al concept di un solo capo di abbigliamento: i pantaloncini da bagno su misura. Perciò il mio debutto è avvenuto a causa di un'idea particolare invece che per il disperato desiderio di essere alla moda. Non credo di essere uno stilista: ricado molto più nella categoria "curare" piuttosto che "creare".
FNW: Qual è stata la cosa più difficile o più eccitante nel creare il suo marchio?
AB: La più eccitante è stata ovviamente vedere per la prima volta il tuo prodotto indossato, su una spiaggia di Ibiza. Niente potrà mai superare quel momento. Ma anche il fatto che si va proprio a progettare un prodotto, ma poi esso diventa un brand. Così i valori e il DNA che scaturiscono da quel prodotto originale vanno a costituire una sorta di marchio vivente, che respira, e vedono quel marchio prendere vita. E vederlo in un certo modo diventare esso stesso un personaggio. Vederlo avere personalità, vederlo parlare in un certo modo, per me è stata decisamente la cosa di cui vado più orgoglioso. Sai che la realizzazione non è solo fare un paio di pantaloncini, ma è qualcosa che è intriso di una sorta di DNA e valori, carattere e personalità, risate, canzoni e pianti. Questa è stata la cosa più eccitante.
La cosa più difficile? Non c'è stato un qualcosa di "più duro". Suppongo che non sia stato diverso da qualsiasi altra attività di una start up al debutto; il denaro era sempre una preoccupazione, stai sempre a pensare a come gestire il flusso di cassa. Ci sono stati momenti difficili, come quando inizi ad andare in altri territori; in America, in Sud America e in Estremo Oriente. Come farò, mi chiedevo?

FNW: In che modo essere nel gruppo Chanel ha cambiato il suo approccio lavorativo?
AB: In nessun modo. Orlebar Brown continua ad essere Orlebar Brown. Abbiamo la gioia di poter far parte del gruppo Chanel e di sapere che i proprietari condividono i tuoi stessi valori e aspirazioni per il marchio. Che si tratti della qualità, della fiducia, o di quel tipo di coinvolgimento emotivo con il brand che si sviluppa da parte dei clienti. Nel nostro approccio lavorativo continuiamo a fare ciò che abbiamo sempre deciso di fare. Abbiamo supporto, che si tratti di consigli per il retail, di consulenza legale o solo di qualche indicazione per la comunicazione. Sapere che queste cose ci sono, cose che prima non avevamo, è stato incredibilmente utile.
FNW: Ci sono state sinergie con la società cugina di Chanel, Eres?
AB: Si assolutamente. Sapete, sostanzialmente siamo la versione menswear di Eres. È evidente che vi siano sinergie: vogliamo raggiungere le stesse persone, vogliamo andare negli stessi posti, esistiamo nello stesso ambiente e ci parliamo molto regolarmente. Le sinergie con Eres sono in aumento.
FNW: In che modo la Brexit ha cambiato i vostri metodi di lavoro, visto che producete in Portogallo?
AB: È una complicazione continua. Penso che probabilmente rientriamo in uno di quei campi [d’attività] nei quali la Brexit è stata difficile da gestire quanto il Covid. Continua a esserci, non la vediamo - più o meno - ma è come se si stesse risolvendo da sola. Però penso che ci vorranno molti mesi prima che possiamo sentirci a posto. La nostra produzione è in Portogallo. Quindi, ovviamente, come molti altri marchi, stiamo esaminando il modo in cui portiamo i nostri prodotti nel Paese. “Lo lasciamo o collochiamo dei magazzini altrove?”. Stiamo aprendo dei magazzini in Europa. Chiaramente, stiamo pensando a come portare il prodotto ai clienti; vogliamo mantenere questo processo il più semplice possibile. Ma non c'è un modo facile per dirlo: come per ogni altro marchio, [la Brexit] è stata un'ulteriore complicazione e quest'anno ha reso le cose ancor più impegnative.
FNW: Qual è il fatturato annuale di Orlebar Brown?
AB: Quest'anno saremo intorno ai 30-32 milioni di sterline.

FNW: Dove vuole che sia il marchio tra cinque anni?
AB: Cinque anni non sembrano nemmeno così avanti nel tempo. Tra cinque anni, spero che realizzeremo più o meno lo stesso genere di cose che stiamo facendo ora. Ma in una maniera più grande. Ci sono così tanti altri luoghi di villeggiatura in cui possiamo essere. Non abbiamo fatto partire davvero il Sud America, non abbiamo avviato l'Estremo Oriente. Ci siamo allargati in alcune nuove categorie di prodotti, fra accessori da viaggio, valigie, scarpe e capispalla, che spero ci porteranno ad incontrare i gusti dei nostri clienti. Penso che questa mentalità in evoluzione si possa percepire. Da marchi e aziende che si aspettano che i clienti si adattino al modo in cui essi vogliono che i clienti acquistino, a noi che ci adattiamo effettivamente al modo in cui il cliente desidera acquistare. E spero che tra cinque anni i clienti trovino che li stiamo incontrando dove vogliono incontrarci, nel modo in cui vogliono farlo, fornendo loro i servizi che desiderano, così come il prodotto che stiamo già creando. E grazie mille.
FNW: Cosa spera che i giovani imprenditori possano imparare dalla sua esperienza?
AB: Spero che gli imprenditori pensino che in realtà non debba essere così difficile. E credo anche nel mantenere le cose semplici. Io ho iniziato con un paio di pantaloncini da bagno in quattro lunghezze. Ho avuto un monoprodotto per tre anni - non è necessario complicare eccessivamente le cose. Trovate quel prodotto rappresentativo, sia che quel prodotto sia un servizio o un oggetto, e fate quella cosa davvero bene piuttosto che fare un sacco di cose in modo mediocre. Tenete tutto piccolo. Non sentite la pressione di dover andare veloci. Queste sono alcune delle cose principali che ho imparato lungo il percorso che penso siano messaggi abbastanza standard a tutti i livelli che potrebbero essere utili.
FNW: Perché ha deciso di partecipare all'evento #ThoseWhoDare di Vodafone?
AB: Per una moltitudine di ragioni. Siccome stiamo uscendo dalla pandemia, penso sia una buona iniziativa. Mi piace molto l'idea di pensare in modo audace per aiutare la propria azienda a crescere. Se ci sono lezioni, insegnamenti che ho avuto negli ultimi anni su cose come lo storytelling e a proposito delle sfide su come entrare in contatto con i clienti e comprenderli o delle problematiche che le aziende devono affrontare - come ridurre al minimo i costi aziendali - allora sono felice di poter aiutare.
Ideato nell’intento di sostenere le PMI, l'evento di Vodafone (che dura una settimana) mostrerà le presentazioni di oltre 30 imprenditori dinamici e rivoluzionari.
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