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Pubblicato il
7 giu 2021
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Accordo storico al G7 sulla tassa minima globale

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Ansa
Pubblicato il
7 giu 2021

Svolta "storica" sulla strada d'una maggiore equità globale nella tassazione delle grandi aziende, destinata nelle intenzioni a far pagare di più in primis chi si è arricchito ulteriormente nei mesi della pandemia (ossia i colossi del web) e a garantire risorse a Paesi e governi alle prese con l'esigenza di continuare a usare la leva dell'intervento pubblico per sostenere la ripresa post-Covid. È il risultato chiave della riunione dei ministri finanziari del G7 chiusasi a Londra sotto la presidenza britannica: riunione a cui l'Italia ha partecipato con Daniele Franco (esordiente in veste ministeriale), gli Usa con l'ex presidente della Fed e nuova segretaria al Tesoro dell'amministrazione Biden, Janet Yellen, e nelle cui conclusioni è stata rimarcata la volontà di insistere nella strategia di politiche economiche "espansive" per tutto il tempo che sarà necessario a uscire dalla crisi, sia pure con l'impegno a vigilare su deficit e a rimettere in sesto i conti pubblici una volta superata la recessione.

Afp


L'intesa anti-elusione infatti per ora impegna i 7 Grandi, in attesa di essere discussa nella sede del G20 a presidenza italiana nell'ambito del vertice di luglio a Venezia allargato alla presenza di altri attori cruciali del mondo, come Cina e Russia. Ma rappresenta fin d'ora un passo in avanti potenzialmente nodale: "un passo storico verso una maggiore equità fiscale", come ha definito l'intesa il presidente del Consiglio Mario Draghi e tutt'altro che scontato in seno allo stesso G7 ancora fino a "tre mesi fa", ha notato Paolo Gentiloni, presente in rappresentanza di Bruxelles come commissario Ue, che ha riconosciuto l'importanza "del cambiamento dell'amministrazione americana" e del "ruolo personale svolto da Janet Yellen" per il raggiungimento di questo traguardo "formidabile".

In sostanza, come indicato dal comunicato finale della riunione e come spiegato più tardi ai giornalisti anche dal ministro Franco, si tratta di un intesa fondata su "due pilastri": l'introduzione del principio di un'aliquota globale minima del 15% per le grandi imprese, da applicare Paese per Paese in modo da allontanare gli eccessi di concorrenza sleale; e quella di una stretta sull'elusione che dovrebbe riguardare anche e soprattutto i big Usa del tech (non citati espressamente, ma evidentemente compresi fra le multinazionali di spicco) con l'imposizione di tasse sul 20% degli utili oltre la soglia del 10% di profitto da "riallocare nei Paesi in cui si effettuano le vendite". Al netto della domiciliazione nominale in qualunque paradiso fiscale. Un sistema che a regime dovrebbe portare miliardi di euro in più nelle casse di tanti Stati; costringere colossi come Amazon, Facebook, Google o Microsoft a versare complessivamente di più; e consentire di evitare casi come quello delle 'zero tasse' versate dalla filiale irlandese del gruppo fondato da Bill Gates grazie alla residenza legale (senza un singolo dipendente impiegato) stabilita nelle Bermuda.

Nel fare un bilancio dell'incontro di Londra - segnato anche da un via libera al progetto volto a obbligare le imprese alla pubblicazione dei rischi climatici legati alle loro attività, nonché da impegni più generici sul fronte dei vaccini e il sostegno alla ripresa economica post Covid dei Paesi più poveri - il padrone di casa Rishi Sunak, cancelliere dello Scacchiere nel governo di Boris Johnson (che tra una settimana si appresta a ospitare in Cornovaglia il primo summit in presenza del dopo pandemia dei capi di Stato e di Governo dei Sette, fra cui Joe Biden e Mario Draghi), si è dichiarato "orgoglioso" di "un accordo storico adeguato all'era globale digitale" contemporanea. Mentre parole analoghe sono venute dalla Jellen, che ha salutato l'inizio della fine della corsa fiscale "al ribasso". E il titolare delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, ha addirittura evocato "una rivoluzione" in grado di "cambiare il mondo".

In effetti restano le incognite sul graduale quanto cruciale allargamento di questo schema al G20, anche se oggi prevale l'ottimismo al riguardo. Come pure sui meccanismi tecnico-legislativi e sui tempi di attuazione. Tempi indicati da Daniele Franco in "alcuni anni", con la precisazione che l'impegno a rimuovere la cosiddetta Digital Tax approvata nei mesi scorsi dall'Italia o da altri in contrasto con Washington varrà solo da quel momento. Il percorso in ogni caso appare segnato. E se verrà accolto anche dal G20 potrebbe mettere in movimento "un treno globale" - nelle parole di Gentiloni - a cui tutti i vagoni dovranno in qualche modo agganciarsi. Inclusi quelli di Paesi europei che sulla concorrenza fiscale hanno finora puntato di più: come l'Unghieria o l'Irlanda (che ha al momento una Corporate Tax non superiore al 12,5%), il cui ministro Paschal Donohoe non ha mancato di rivendicare stasera stessa il diritto a distinguere fra Stati "medi e piccoli, sviluppati e in via di sviluppo".

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