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14 nov 2018
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23° Fashion & Luxury Summit: come cambia la catena del valore nell’era digitale

Pubblicato il
14 nov 2018

Si è svolta il 14 novembre a Milano, presso Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana, la 23esima edizione del Fashion & Luxury Summit di Pambianco e Deutsche Bank, dal titolo: “Dalla manifattura allo store del futuro”, che quest’anno si è focalizzato sui mutamenti in atto nella catena del valore del fashion system in risposta ai cambiamenti della rivoluzione digitale.

 
I lavori sono stati aperti da Flavio Valeri, Chief Country Officer Italia di Deutsche Bank, che ha evidenziato come dopo due anni di stagnazione, il comparto del lusso abbia ricominciato a crescere, con trend del +7/8%. “In Italia il lusso è un settore da 90 miliardi di fatturato circa, quindi con un contributo importante al PIL del Paese. Tra le tematiche su cui il comparto si sta interrogando vi è senz’altro la riorganizzazione della filiera: si è passata da momenti di grande globalizzazione produttiva al fenomeno del reshoring, fino a quello più recente del ‘see now buy now’. Altro aspetto importante sono le nuove tipologie di clienti, i millennials in primis, le strategie omnichannel, il custom made e la necessità di creare sempre più un’esperienza di acquisto per attirare la clientela nei negozi”.
 
A seguire, David Pambianco, CEO di Pambianco Strategie di Impresa, ha presentato i risultati di un’analisi condotta su un campione di 110 aziende italiane, con un fatturato complessivo di 42 miliardi di euro, da cui è emerso che le aziende del lusso rispetto a quelle delle altre fasce (premium, media e bassa), hanno una dimensione media superiore (624 milioni di euro contro 257 milioni), una crescita annua più alta (6,4% contro 4,8%) e un EBITDA più elevato (22% contro 13%).

David Pambianco, CEO di Pambianco Strategie di Impresa


Dal punto di vista produttivo, le aziende del lusso producono l’85% in Italia (+12% negli ultimi tre anni) mentre le altre fasce di mercato prevalentemente in Europa e in Asia (solo 13% in Italia);  il valore della manifattura italiana di prodotti di lusso è di circa 9 miliardi di euro, di cui due terzi destinati a brand italiani e un terzo esteri, prevalentemente i grandi gruppi francesi che producono in Italia. Sul fronte vendite, l’analisi ha evidenziato che le imprese del lusso vendono in tutto il mondo (Europa 38%, Asia 38%, USA 19%), mentre per quelle delle altre fasce è l’Europa il mercato di riferimento, con oltre il 90% dei ricavi.

Infine, esaminando i canali distributivi, per i marchi del lusso il principale è il retail (69% delle vendite), mentre per gli altri il wholesale genera il 65% delle vendite. L’e-commerce pesa in media per il 9% sul giro d’affari totale della aziende del lusso (4% direttamente, 5% tramite terzi) e il 6% per gli altri (3% diretti e 3% tramite terzi). In generale, rispetto al passato tutte le aziende devono gestire un maggior numero di canali (on-line, retail, wholesale), sempre più interconnessi tra di loro, da qui l’importanza di una strategia omnichannel.  
 
Il Convegno ha poi proposto un focus sul mondo del lavoro: Erika Andreetta, Partner PwC, ha infatti presentato i dati dell’ultimo “Osservatorio sulle prospettive e aspettative at work 2018”, condotto su oltre 2.400 giovani millennials e della generazione z. Dallo studio emerge che entro il 2020 i millennials saranno il 50% della forza lavoro del settore moda e le loro aspettative sono focalizzate principalmente su retribuzione e benefit, sviluppo professionale e stabilità lavorativa. Per attirare la nuova generazione di professionisti, le imprese del fashion dovranno focalizzarsi su aspetti quali il miglioramento dell’ambiente di lavoro, una maggiore flessibilità nell’organizzazione delle attività, una migliore gestione delle persone, sia dal punto di vista economico che formativo, una maggiore attenzione alla sostenibilità e alla corporate social responsibility.

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