Undercover e The Soloist hanno chiuso in bellezza il Pitti Uomo
Quando due dei designer giapponesi più interessanti del momento si incontrano al Pitti Uomo, l’evento può solo riservare delle belle sorprese. Ospiti d’onore della 93ma edizione del salone maschile di questa stagione, Jun Takahashi, che ha fondato il marchio Undercover, e Takahiro Miyashita, con la sua etichetta Takahiromiyashita The Soloist, non hanno deluso le attese.
Ognuno ha mostrato a modo suo la propria visione stilistica del futuro. Un futuro prossimo allo stesso tempo stimolante e inquietante, come riassunto dal titolo della canzone del gruppo americano Nine Inch Nails “The day the world went away” (“Il giorno in cui il mondo se n’è andato”), stampata su mantelle impermeabili arancioni presentate alla fine della collezione piuttosto cupa di The Soloist.
I due giapponesi, che hanno svelato le loro collezioni uno di seguito all’altro nella Stazione Leopolda – i modelli apparivano ed evaporavano improvvisamente nell’oscurità alle due estremità di una passerella interminabile –, non si erano consultati in precedenza, ma hanno palesemente condiviso gli stessi temi forti: il futuro, la vita o la sopravvivenza nello spazio o in un mondo contaminato, il bisogno urgente di proteggersi con tute, guanti, mantelle, caschetti e altre mascherature.
Ci sono dei grandi impermeabili in nylon e in vinile con grossi stivaloni (che a sinistra esibiscono la scritta “disorder” e a destra “order”) e dei guanti da lavoro in caucciù da Jun Takahashi. Ci sono dei sopra-pantaloni e degli scaldamuscoli in pelle o tessuti tecnici con cappucci e passamontagna da motociclista che lasciano intravvedere solo gli occhi da Takahiro Miyashita.
Altro punto in comune, la gonna. Il primo ha proposto all’inizio del suo défilé una serie di lunghe gonne pieghettate stile maxi kilt. Il secondo ha utilizzato delle grandi sciarpe frangiate o dei piumini trapuntati, avvolti come parei sui pantaloni.
Undercover si è ispirato a “2001: Odissea nello spazio”, riprendendo numerose immagini emblematiche del film di Stanley Kubrick stampandole su cappotti o t-shirt, oltre a molti motivi tecnologici, curve, cifre riprodotte sui vestiti, insieme a messaggi del tipo “Human Error” o “Computer malfunction”.
Delle bande verniciate alla maniera delle strisce riflettenti decoravano i bordi di cappotti ed impermeabili in colori flashy come il rosso e il giallo. Guanti e cappelli esplodevano di colori vivaci (verdi, turchesi, rossi, ecc.).
Nessun colore era in compenso presente, tranne per le coperte da sopravvivenza arancioni, nella collezione di The Soloist, interamente declinata nei toni del nero (pelle) e bianco (nylon dei piumini, cotone) mescolati ai tessuti maschili classici - tweed, Principe di Galles, pied-de-poule - utilizzati qua e là in abiti decostruiti, sistematicamente ricomposti attraverso un gioco di di nastri e cinturini, e coperti con indumenti protettivi.
Come un esploratore dei tempi futuri, l’uomo immaginato da Takahiro Miyashita non esce mai di casa senza un indumento di ricambio appeso alla schiena o in vita, camuffato da tutti i tipi di strati di abbigliamento chiusi da corsetti cinturati o da altri elementi di fissaggio.
Al termine dello show, a torso nudo, i modelli con le lunghe gonne a pieghe bianche di Jun Takahashi hanno incrociato i modelli del suo alter ego in pantaloni e gilet di pelle nera. Indossavano tutti una fascia da braccio sulla quale si legge, ancora una volta, ‘order/disorder’. Come se la speranza risiedesse in questo fragile equilibrio tra ordine e disordine.
Copyright © 2024 FashionNetwork.com Tutti i diritti riservati.