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Serbia: addio `jeans valley', è crisi anche per industria falso

Pubblicato il
13 lug 2009

Roma, 13 lug. - Era il paradiso della contraffazione nei Balcani. Ma ora anche per la `jeans valley' di Novi Pazar, capoluogo del Sangiaccato, regione oggi divisa tra Serbia e Montenegro, è crisi. E il paradosso è che la mecca della contraffazione ha chiesto aiuti statali.



I laboratori tessili di Novi Pazar infatti sono stati negli ultimi vent'anni un pilastro dell'impoverita economia serba: la `capitale est europea dell'industria pirata dei jeans' contava 15 mila addetti, e produceva oltre 20 milioni di paia di jeans l'anno, secondo il locale Ufficio del lavoro. Era il motore economico per una delle aree più depresse del Paese, e con il più alto tasso di disoccupazione della Serbia qual è il Sangiaccato, a maggioranza musulmana, che però al contrario del Kosovo non ha mai messo in dubbio i sui legami con Belgrado.

L'edizione 2009 della `Fiera annuale internazionale del tessile, moda abiti e scarpe' di Novi Pazar per la prima volta nella sua storia è stata annullata per mancanza di richieste dalla Serbia e dall'estero. E per centinaia di piccoli laboratori è stato il segnale più temuto. Ogni anno la fiera era meta di migliaia visitatori e compratori non solo nazionali.

Ora invece solo gli stabilimenti più grandi sembrano in grado di sopravvivere, secondo il locale Ufficio nazionale del Lavoro, che in città ha contato a maggio 21 mila disoccupati su una popolazione di circa 100 mila abitanti. L'allarme è ormai economico e sociale per i lavoratori invisibili del Sangiaccato, molti dei quali assunti in nero. E oggi, l'amministrazione di Novi Pazar ha chiesto l'intervento di Belgrado. Il salario medio è 300 euro al mese, e con la caduta del dinaro, i prezzi dei beni essenziali salgono di mese in mese.

Il boom dell'industria dei jeans nell'area risale agli anni '90 sotto sanzioni internazionali imposte al regime di Milosevic. Marchi falsi a decine -"da Abercrombie&Fitch a Zegna"- dai piccoli laboratori di Novi Pazar prendevano la via di tutti i mercati e negozi dell'Est europeo, ma anche di Austria, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Ungheria, Russia e Polonia, dov'erano venduti talvolta anche come originali. Per i finti Levi's la vera crisi arrivò con la fine delle sanzioni e la pace. L'area subì la forte repressione di Milosevic e non mancarono episodi di pulizia etnica.

Poi i pesanti bombardamenti Nato. E intanto Cina e Turchia mettevano i laboratori di Novi Pazar fuori mercato. Per i sindacati locali, oggi il settore conta ancora circa 200 aziende, per complessivi 7-10 mila operai, anche se il numero è probabilmente più alto nella valle dell'economia informale.
Laboratori come Oxal, tuttora in attività, fanno tra 400 e mille pezzi al giorno, e hanno aperto un negozio a Belgrado.

"Ci aspettiamo un aumento dei disoccupati quest'estate, collegato ai licenziamenti annunciati. In diverse migliaia potrebbero perdere il lavoro" ha dichiarato alla stampa locale Ramiz Paljevac, capo dipartimento economico del Comune di Novi Pazar, interpellato da `Balkan Insight'. L'amministrazione teme un impatto senza precedenti per la regione: "i tagli peseranno ancora di più sul budget pubblico perché i contribuenti dichiareranno ancora meno redditi" ha spiegato Paljevac.

Difficile arrivino gli aiuti sperati da Belgrado, mentre la Serbia è alle prese con una forte crisi economica e con misure di austerity, sotto stretta osservazione internazionale. Né è d'aiuto la tensione continua tra i due maggiori partiti bosgnacchi, l'Sdp (Partito democratico del Sandjak) e lo Sdas (Partito di azione democratica), i cui attivisti furono protagonisti di scontri a settembre 2006 durante le elezioni locali, con un morto sul terreno. Entrambi sono membri del governo serbo: al ministero del lavoro e delle politiche sociali Rasim Ljajic (Sdp), mentre il leader Sdas Suleiman Ugljanin è ministro senza portafoglio.

I rischi sociali crescono sullo sfondo di una regione instabile, dove sono forti le tensioni tra le 2 componenti della comunità islamica (una dipendente dal Riaset di Sarajevo, l'altra dall'analoga assemblea islamica di Belgrado), e non mancano elementi di islam radicale, approdato in Sangiaccato durante la guerra di Bosnia. "Una regione più saudita che serba" scrivevano durante la guerra ex jugoslava i corrispondenti di Associated Press. Era la zona della `Al-Qaeda bianca', quella di retrovia, e furono trovati campi di addestramento di integralisti islamici a 30 chilometri da Novi Pazar.

Quindici anni dopo gli Usa, sempre meglio radicati nella `green belt' dell'islam balcanico, con grande consenso in Albania e Kosovo, non smettono di guardare al Sangiaccato. Anche con programmi di cooperazione per la disastrata economia regionale. Hanno così un sapore singolare iniziative che vedono presenti con ruoli inediti tutti i protagonisti della guerra fredda. Come quella di Usaid (l'Economic Security Program del governo di Washington), attiva in diversi municipi sottosviluppati del sud e sud-ovest serbo per rafforzarne la competitività economica: Usaid infatti a metà giugno 2009 ha firmato un accordo di garanzia per assistere le pmi tessili di Novi Pazar e farle partecipare alla 13esima Fashion Trade Fair di Mosca.

Operazione per complessivi 57 mila dollari. Nell'accordo, anche l'assistenza tecnica e finanziaria a 5 pmi per la loro presentazione congiunta ad una delle più importanti fiere del fashion dell'Europa orientale, dal 6 al 9 settembre 2009. Mikan Bross, Menus, Big Boys, Brug e Stig, i marchi prescelti, avranno dunque più possibilità di espandersi verso nuovi mercati, visto che sul lato Ue ancora non si aprono finestre. Una goccia nel mare, mentre un numero sempre maggiori di disoccupati appare a rischio, con timori anche per la manipolazione politica a cui la lotta tra frazioni politico-religiose li espone. In mancanza di investimenti e infrastrutture, sembra al termine -o molto ridimensionata- la stagione dei jeans perfettamente imitati a 10 e 20 euro.

Intanto Novi Pazar si reinventa come capitale dell'autotrasporto.
Diversi tra quanti hanno perso il lavoro nelle fabbriche tessili, si mettono alla guida di camion, secondo l'Ufficio locale del lavoro. Il Sangiaccato è crocevia tra Voivodina, nel nord serbo, Kosovo e Romania. E specie in questa prolungata fase di tensione tra Belgrado e Pristina, dove in Kosovo è piu' prudente far viaggiare le merci serbe su mezzi con la targa di Novi Pazar, gli affari non vanno male.

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