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Di
AFP
Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
15 mag 2018
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Partenze a cascata da Nike a causa del pessimo ambiente di lavoro

Di
AFP
Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
15 mag 2018

Il produttore di articoli sportivi Nike sta affrontando da due mesi un esodo senza precedenti di suoi dirigenti a causa delle testimonianze rese da vari dipendenti, per lo più donne, che hanno denunciato un ambiente di lavoro "tossico", caratterizzato da discriminazioni e da molestie morali e sessuali. Cinque manager di alto rango hanno recentemente lasciato l’azienda di Beaverton, Oregon, ha confermato all’agenzia AFP un portavoce aziendale. Tra di loro c’è una donna, Helen Kim, che era la vicepresidente delle attività per il nord-est in Nord America.

AFP


"Questa è la prova che il problema generale sono le molestie morali o gli abusi perpetrati sul posto di lavoro, che se ne infischiano di genere sessuale e colore della pelle. È solo crudeltà”, sostiene il Dottor Gary Namie, che ha creato un istituto specializzato sui malesseri e i disagi sul lavoro, il Workplace Bullying Institute.
 
Secondo una fonte vicina al dossier, le partenze sono la conseguenza delle prime conclusioni cui è giunta un’inchiesta interna avviata a marzo in seguito ai racconti riferiti da vari dipendenti, che hanno preso coraggio sulla scia dell’emergere del movimento #MeToo, nato durante lo scandalo Harvey Weinstein. Nike dispone di un regolamento anti-molestie.

Almeno undici alti dirigenti hanno lasciato Nike da marzo, tra i quali Trevor Edwards, presidente del brand Nike e considerato come il successore di Mark Parker, l’attuale CEO. In azienda, Trevor Edwards, che ha lavorato più di 25 anni per Nike, sarebbe stato rinomato per umiliare i suoi subordinati in riunioni pubbliche.
 
Fin sopra i capelli
 
Tutto è partito da un gruppo di dipendenti che non ce l’ha più fatta a tacere, e avendone fin sopra i capelli ha fatto circolare un sondaggio interno che rivelato l’esistenza di abusi e di disuguaglianze nelle promozioni legati all’essere uomini o donne. Questo sondaggio, che ha raccolto le testimonianze di dipendenti di entrambi i sessi, denunciava in linea generale la cultura "machista" dell'azienda, una sorta di “club maschile”, e l’inerzia del dipartimento delle risorse umane.
 
Alcuni hanno segnalato uscite d'ufficio con i colleghi che terminavano in club di strip-tease, di dirigenti maschi che si vantavano di avere dei preservativi in borsa, dei commenti sul seno di una dipendente scritti in una e-mail indirizzata alla persona interessata, o il ricorrere di commenti sprezzanti e umilianti. Un’impiegata ha confidato al New York Times che il suo superiore l'aveva definita una "stupida puttana", ma non era stato sanzionato nonostante lei avesse riferito l'incidente alle risorse umane.
 
Nike non ha voluto rispondere alle richieste di commenti da parte dell’AFP. "Abbiamo tutti un obbligo - non negoziabile: creare un ambiente e una cultura di rispetto e inclusione", ha dichiarato il 3 maggio il CEO Mark Parker ai dipendenti.
 
"È il suo regime. È questa la sua cultura d'impresa", stigmatizza Gary Namie, che insiste sul fatto che gli abusi denunciati sono stati commessi durante il ‘regno’ di Parker, ed esorta il grande capo a prendersi le proprie responsabilità.
 
Il silenzio delle stelle dello sport
 
Per il momento l’impatto finanziario della vicenda è stato minimo: il titolo di Nike non ha subito contraccolpi in Borsa, e le iniziative di boicottaggio lanciate sulle reti sociali non hanno preso piede. “È possibile che si possa osservare un impatto sulle vendite a breve termine”, stima tuttavia Victor Ahluwalia, esperto di CFRA Research, tanto più che l’ondata di addii coincide con l'offensiva di Nike tra le donne tramite il concept “Nike Unlaced”.

La nuova scarpa da corsa Nike "Epic React" - Instagram: @nike


Il brand deve poi trovare dei nuovi talenti; cosa “che non sarà facile”, sostiene Sam Poser, analista del Susquehanna Financial Group.
 
Nessuno tra i prestigiosi testimonial di Nike (i giocatori di tennis Serena Williams e Maria Sharapova, il cestista LeBron James, il calciatore Cristiano Ronaldo) ha ancora espresso un parere sulla questione.
 
Questo caso rappresenta un duro colpo per Nike, il cui celebre slogan “Just do It” vuole ispirare milioni di giovani in tutto il mondo a perseguire i loro sogni. Il produttore di articoli sportivi si è inoltre voluto dare un’immagine “cool”, di progressista e difensore dei valori di uguaglianza e giustizia, come attesta una campagna pubblicitaria di febbraio.
 
La direzione ha ricevuto più di 43.000 risposte alla sua indagine e ha iniziato a procedere con dei cambiamenti. Di recente, l’azienda ha promosso due donne in incarichi di alto livello, Amy Montagne e soprattutto Kellie Leonard, promossa a responsabile della diversità e dell'integrazione. Attualmente solo il 38% dei dirigenti Nike sono donne e circa il 23% non caucasici.
 
Il gruppo di Beaverton promette anche di rivedere il processo di formazione dei manager, di modificare le sue procedure di assunzione e di organizzare periodicamente colloqui di valutazione individuali. “Le partenze di dirigenti segnano un importante cambiamento nell'approccio del management e preannunciano un cambiamento nelle prassi, ma è ancora prematuro affermarlo” con certezza, afferma David Yamada, professore di diritto del lavoro all’Università Suffolk di Boston.

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