30 set 2012
Nadège Winter: "Una collaborazione di successo deve essere sincera"
30 set 2012
Vera stakanovista, che riesce a occuparsi di mille cose insieme, Nadège Winter ha ora perfezionato una partnership con Timberland. L’occasione giusta per chiedere a questa ex responsabile della comunicazione di Colette quale funzione hanno tutte queste capsule collection.
FashionMag.com: Ha firmato insieme a Timberland una collaborazione per una serie di modelli da donna. Com'è nata questa collaborazione?
Nadège Winter: Eravamo in contatto tramite un'agenzia di comunicazione. Il marchio sta cercando da alcune stagioni di femminilizzare la sua immagine. Invece io ero interessata dall'approccio che hanno impostato con la linea 'Earthkeeper'. Siccome ho amato lo “Yellow Boot”, ho pensato che ci fosse un progetto interessante da intraprendere. Gli iconici stivali non facevano parte della loro linea "green" e soprattutto storicamente non erano comodi per le ragazze. Se li dovevano togliere dopo qualche ora, perché erano troppo pesanti.
FM:Come si è svolta la fase di ideazione di questi modelli?
NW:Era la mia prima collaborazione con un brand. Ero responsabile dello stile per Wool & The Gang o per il marchio di gioielli JEM. Ma l'interessante è stato confrontare i miei desideri con i loro vincoli da rispettare. All'inizio ho avuto carta bianca. Ho voluto che gli “Yellow Boots” avessero un approccio ecologico e fossero più leggeri grazie a una suola in caucciù che consentisse alle ragazze di muoversi e ballare. Dopo, considerando l'ambito ecologico, c'è il settore del sourcing delle materie prime e la seconda vita. Sono andata in Inghilterra nei laboratori dell'associazione Trade, l’equivalente di Emmaus, e ho selezionato molti tipi di tessuti. L’idea era di rendere più femminile la calzatura con dei pezzi leopard, liberty, ecc. e di farne così dei pezzi unici. In seguito ho realizzato insieme ai team di Timberland quali erano le limitazioni di ordine pratico. Abbiamo abbandonato il pizzo, perché era troppo fragile, altri elementi richiedevano un tempo eccessivo di manodopera. Alla fine abbiamo scelto di applicare delle strisce con stampe liberty e floreali.
FM: Attraverso questa esperienza e quella del suo passato, soprattutto da Colette, che cosa rappresenta per lei il successo di una riuscita collaborazione?
NW : Vedremo come sarà percepita la collaborazione. Tanto più che il progetto è stato completato lo scorso anno. Anche per me è una cosa nuova aspettare così tanto tempo e comunque speriamo di venderne sulle 1.600 paia. Quello che è importante è che bisogna che ci sia un elemento di sincerità nell'impostazione; che le due parti possano esprimersi senza lasciarsi sopraffare da ragioni di business. C'è stato un eccesso di collaborazioni nell'ambiente, fra champagne, piatti e stoviglie, e via dicendo. Ho l'impressione che si vada un po' all'indietro, anche se il consumatore è alla ricerca di esclusività, si è sicuramente troppo ecceduto e il cliente vede dove c'è genuinità e dove no. Anche fra i due brand che creano la capsule, è interessante quando si vede qualcosa di nuovo in termini di prodotto. Poi, occorre una reale strategia mediatica per accompagnare il lancio della partnership.
FM: Perché i marchi ci mettono così tanta passione nel creare collaborazioni?
NW: C'è un reale interesse di marketing in questo, perché queste collaborazioni consentono di fa parlare del brand. Ciò però può essere pericoloso per un marchio giovane, in quanto la sua immagine è ancora fragile. Se sbaglia, ci possono esser ripercussioni negative per molto tempo. In compenso, per un marchio affermato la collaborazione può permettergli di affermarsi come scopritore di talenti creativi rafforzando così la sua immagine. Per esempio Kenzo, insieme al quale sviluppo progetti da quest'estate, ha davvero fatto un bel colpo grazie alle sue collaborazioni con New Era e Vans. Dopo, per loro, il cambiamento è stato totale. Tutto il loro posizionamento e la loro immagine sono stati rivisti. All'interno dell'azienda, le collaborazioni permettono anche di stimolare i propri team creativi. Piuttosto che ingaggiare una persona che cambia tutto, queste riflessioni specifiche permettono alle équipe creative di confrontarsi con altre visioni e capacità. E questo crea uno spirito di emulazione. E' interessante e alla fine può consentire di promuovere e realizzare delle collezioni.
Olivier Guyot (Versione italiana di Gianluca Bolelli)
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