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Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
16 gen 2018
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Kiko Milano riduce la sua presenza negli Stati Uniti

Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
16 gen 2018

Kiko USA, la filiale statunitense del marchio di prodotti di bellezza a basso prezzo Kiko Milano di proprietà del gruppo Percassi di Bergamo (quello dell’Atalanta calcio, ma anche della catena di moda e accessori Vergelio), si è posta sotto la tutela del “Chapter 11”, il sistema statunitense dei fallimenti che consente alle imprese di ristrutturarsi.

Un negozio Kiko - DR


Nel documento indirizzato al tribunale fallimentare dello Stato del Delaware, Frank Furlan, che dirige Kiko USA da giugno 2017, sottolinea che le vendite realizzate dall’insegna bergamasca guidata da sei mesi da Cristina Scocchia (ex AD di L’Oréal Italia con una precedente carriera in Procter & Gamble), arrivata negli States nel 2014, non sono più sufficienti per coprire i costi inerenti agli affitti dei negozi e agli stipendi dei dipendenti. Secondo l’ex CEO di Perfumania, che ha anche lavorato per il gruppo Swatch, questa situazione sarebbe in gran parte il risultato di un calo delle presenze nei centri commerciali americani, dovuta fra l’altro all’accresciuta concorrenza delle vendite online. La maggior parte dei 29 negozi del marchio negli Stati Uniti si trovano nei centri commerciali.
 
Kiko USA, che impiega 244 persone, 95 delle quali a tempo indeterminato, ridurrà dunque drasticamente la sua presenza negli States, concentrandosi solo su 5 negozi, quelli che hanno la particolarità di essere esposti sia alla clientela locale che a quella internazionale, come quello di Times Square a New York. La chiusura delle altre 24 unità, che dovrebbe comportare una significativa riduzione della forza lavoro, diminuirebbe così le perdite operative di 7,1 milioni di dollari.

Il parco di negozi potebbe comunque svilupparsi nuovamente in seguito, stavolta al fianco di un partner specialista del retail. Il marchio vuole adattare meglio la propria offerta per questo mercato e rafforzarvi le operazioni di marketing. Un mercato dal quale non uscirà, come ha ricordato Cristina Scocchia in una recente intervista al “Corriere della Sera”: “Kiko USA continuerà a esistere, pagheremo al 100% tutti i creditori sociali e svilupperemo sempre di più l’e-commerce anche negli Stati Uniti, dove il mercato digitale vale l’11% delle vendite”.
 
Da notare che Kiko è presente negli USA anche tramite il suo e-shop ed anche su Amazon da qualche mese, e le sue vendite online hanno mostrato una crescita in doppia cifra.
 
Nel primo trimestre del 2018, Kiko amplierà invece la sua presenza in Francia (dove è diffuso in circa 100 punti vendita), dove aprirà il suo più grande negozio d’Europa sugli Champs Elysées.
 
Nel 2016, Kiko Milano, che conta ad oggi più di 1.000 negozi in tutto il mondo, ha generato un fatturato di 600 milioni di euro, ma nell’intervista al “Corriere”, Cristina Scocchia ha affermato che il bilancio del 2017 si è concluso con il giro d’affari a 610 milioni, “circa il 3% in più del 2016, a cui si accompagna una contrazione delle marginalità. La società resta in attivo, ma era necessario fare alcune scelte strategiche”.
 
Sempre nell’intervista si apprende che il piano industriale triennale studiato dalla Scocchia dopo il suo arrivo prevede il “raddoppio del peso dell’e-commerce in tre anni, dall’attuale 4% del fatturato all’8%”, ma anche “investimenti per 90 milioni, di cui circa 25 in innovazione tecnologica”. La CEO di Kiko Milano ha aggiunto che punterà su aree in forte crescita in questo momento nel mondo e dotate di un alto sviluppo demografico, “come l’India, il Medio Oriente e l’Asia in generale, dove prevediamo di passare dal 4% al 20% dei ricavi entro il 2020. Oggi in questa area abbiamo una quindicina di negozi e ne apriremo oltre 70 in tre anni”, ha detto al quotidiano milanese.

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