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9 nov 2011
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Gran Bretagna: la crisi fa soffrire le zone centrali delle città

Pubblicato il
9 nov 2011

"Fears", "Crisis on the High Street": prima dell'estate, la stampa britannica esprimeva senza eufemismi i suoi timori rispetto al futuro dei negozi di vendita al dettaglio sulle strade numero 1 del Paese. Grandi nomi come Habitat, TJ Hugues o Jane Norman stavano affrontando delle grandi difficoltà, perfino minacce di amministrazione controllata. La chiusura di molti negozi si univa a massicci giudizi negativi sui risultati del settore.

Gran Bretagna
I marchi delle vie cittadine principali della Gran Bretagna stanno avendo varie difficoltà - Foto: AFP

Tra crisi dei debiti sovrani, le rivolte e i disordini estivi nelle grandi città ed una crescente insicurezza sul mantenimento dei posti di lavoro, il cocktail poteva rivelarsi devastante. "Questo è stato un anno difficile per il retail”, spiega Sarah Cordey, portavoce del British Retail Consortium. “Le vendite di alimentari sono rimaste stabili, ma il settore dell'abbigliamento e della calzatura non è stato immune alla crisi. I consumatori sono reticenti al momento attuale a spendere in tutto ciò che valutano come inessenziale. Le donne, in particolare, riducono i loro acquisti di vestiti, benché continuino a fare la spesa per le loro famiglie".

Di fatto, nel primo semestre, mentre il retail soffriva, i consumi delle famiglie britanniche facevano ugualmente registrare una progressione del 4% in valore rispetto allo stesso periodo del 2010. Le spese per calzature e abbigliamento, che pesano annualmente più di 50 miliardi di sterline (57 miliardi di euro), facevano anch'esse registrare un incremento del 7% come valore nel secondo trimestre. Tuttavia, come dopo la crisi del 2008 quando i consumi sono calati sei mesi più tardi, è in settembre che la situazione si è sfaldata. L'Ufficio Nazionale di Statistica constata che, col passare del tempo, le vendite nella moda sono calate di più del 2% in volume, il calo più netto da tre anni e mezzo a questa parte. Tuttavia, con una stabilità nel valore delle vendite, la situazione in Gran Bretagna resta comunque migliore che nel resto d'Europa.

Dati che mascherano disparità strutturali e geografiche. "Il settore immobiliare in Gran Bretagna è combattuto fra due mercati. Londra è effervescente, con un livello di disponibilità ai limiti più bassi da 20 anni, mentre le altre città sono in crisi”, spiega Peter Mace, di Cushman & Wakefield. La maggior parte dei fallimenti coinvolge aziende che avevano una forte presenza nelle città medie, piuttosto che a Londra".

Così, aziende come Ted Baker o Next evidenziano aumenti lusinghieri dei loro fatturati e della loro redditività trimestrale. Con una sterlina abbastanza debole, la capitale inglese attira i turisti internazionali come quelli britannici. "Le città più piccole soffrono notevolmente, con diversi attori locali costretti a chiudere. Spesso ciò è dovuto alla presenza di un centro commerciale o di un nuovo ipermercato che si mette a vendere dell'abbigliamento e dell'elettronica".

Tanto che una frangia di consumatori ha adottato i codici e i ritmi della grande distribuzione. Mintel sottolinea che, se nel 2011 un quarto delle donne inglesi ha comprato meno capi, ma di migliore qualità (contro il 20% nel 2010), al contrario il 38% degli uomini ha scelto i supermercati per realizzare gli acquisti di vestiti. E' quasi la metà di loro ad adottare questo comportamento nella fascia 45-54 anni.

Gran Bretagna
Metà dei consumatori britannici non ha intenzione di acquistare prodotti a prezzo pieno - Foto: AFP

Al di là della crisi, le cifre di Mintel rappresentano un vero allarme per il settore dell'abbigliamento: il 44% delle donne non apprezza l'esperienza dello shopping. E, mentre il mercato delle grandi taglie femminili è cresciuto del 47% in cinque anni, per raggiungere i 4,6 miliardi di euro, il 78% di queste consumatrici si lamenta della mancanza di negozi che propongono taglie simili.

"La taglia sta diventa un problema sempre più cruciale per gli specialisti dell'abbigliamento”, dice Michelle Strutton, senior analyst per Mintel. “Con un quarto delle donne che fatica per trovare delle boutique che vendano dei vestiti di moda della propria taglia, sempre più dettaglianti non specializzati dovranno incorporare nella loro offerta delle taglie più alte per attirare nuovi clienti".

Circondati dalla grande distribuzione e dall’e-commerce, le cui vendite di "abbigliamento" potrebbero crescere del 60% tra il 2010 e il 2015 e arrivare a rappresentare la cifra di 4,6 miliardi di euro, le catene britanniche devono ripensare la loro organizzazione. Tanto più che Mintel notava quest'estate come la metà dei consumatori non ami pagare un prodotto a prezzo pieno e che il 51% abbandona la marca preferita per un'offerta migliore. "Sulla totalità del retail, le vendite sono altamente dipendenti dagli sconti”, rileva Sarah Cordey. “Questo mercato è sempre molto concorrenziale e un periodo di feste di fine anno che si riveli fruttuoso sarà cruciale per le aziende che hanno avuto un anno deludente".

Perché ci sono anche altri attori nel settore che sono sempre a caccia di buone occasioni sul mercato britannico: "C'è un aumento del numero di brand internazionali che cercano di essere presenti al di fuori di Londra”, constata Peter Mace. “Come Forever 21, che ha aperto a Brimingham, un grande numero di essi considera queste dinamiche come una buona opportunità per acquisire degli spazi spendendo poco". Il paesaggio delle strade principali della Gran Bretagna si prepara dunque ad essere notevolmente ridisegnato. La prospettiva di un avvenimento come i Giochi Olimpici del 2012 stimola in effetti nuovi e profondi desideri. Londra dovrebbe così riuscire a confermare il suo dinamismo e il suo ruolo trainante per il settore.

Olivier Guyot (Versione italiana di Gianluca Bolelli)

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