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Ansa
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13 set 2009
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Caro Made in Italy

Di
Ansa
Pubblicato il
13 set 2009

NEW YORK, 11 SET - Il made in Italy costa troppo e il New York Times lancia l'allarme. Investiti dalla crisi, gli stilisti che da oggi sfilano sulle passerelle di Manhattan sono scappati in Asia anziché ordinare accessori e capi di abbigliamento nelle fabbriche della penisola.


Sfilata Lacoste P/E 2010

"Sta diventando una battaglia perdente", ha detto Thakoon Panichgul, uno dei designer preferiti della First Lady Michelle Obama, tenendo in mano un tessuto jacquard italiano di lana in otto colori che gli è costato cento dollari al metro. Cathy Horyn, fashion editor del quotidiano newyorchese, ha messo in prima pagina un fenomeno che a suo avviso potrebbe segnare non solo un momento difficile per gli stilisti di alta gamma, ma anche un giro di boa.

"Ecco la realtà. Sempre più gente compra da H&M o in altri negozi che vendono moda pronta a buon mercato. Le fabbriche che producono merci di alto artigianato in Italia e a New York stanno chiudendo bottega e il business si sposta in Cina. I clienti non cercano più capi capaci di durare anni", ha scritto la Horyn, protagonista anni fa di una clamorosa bagarre con Giorgio Armani che l'aveva disinvitata dai suoi show dopo una recensione poco lusinghiera di un paio di pantaloni.

Non c'é dubbio che negli Usa il settore dell'abbigliamento sia in crisi: a un anno dal crack di Lehman Brothers la nuova frugalità degli americani ha indotto i buyers a tagliare gli ordini del 30 per cento per la stagione autunno-inverno senza prospettive di miglioramento per la prossima primavera. "In 40 anni di lavoro non ho mai visto tante donne spaventate di comprare", ha detto Vera Wang che vende capi da mille dollari in department stores di lusso come Bergdorf-Goodman ma ha anche una linea 'cheap&chic' in grandi magazzini a basso costo come Kohl's.

La Wang, come altri stilisti, è sotto pressione da parte dei negozi per abbassare i prezzi. Di qui la corsa a scorciatoie che rischiano di compromettere la creatività come la scelta di materiali meno pregiati, o di aziende meno qualificate per la confezione. Il Times fa alcuni esempi: Elie Tahari, che ha un fatturato di mezzo miliardo di dollari, ha ridotto i prezzi del 30 per cento e trasferito in Cina una fabbrica di borse che aveva in Italia.

Contagiato anche Oscar de la Renta, lo stilista che per anni è stato a New York e a Washington il simbolo di una alta gamma made in Usa: beniamino delle First Lady prima dell'avvento di Michelle Obama, è riuscito a ridurre i prezzi sostituendo un 'faille' di seta comprato in Italia con un tessuto analogo prodotto in Corea del Sud: "Mi piace, costa un terzo, e anche Prada lo usa da anni".

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